In effetti non ci è stato tramandato molto sulla specifica vicenda.
Per le capacità miitari e di comando dimostrate nel corso di quasi un decennio di battaglie oltralpe, Labieno si guadagnò la stima e la fiducia di Cesare, che arrivò ad affidargli il governo della Gallia Cisalpina, anche per garantirsene l’appoggio in vista della propria candidatura al consolato.
Il suo governatorato durò però soltanto pochi mesi perchè, mentre Cesare stava scendendo in Italia per intraprendere la guerra civile, Labieno abbandonò precipitosamente la Gallia per unirsi a Pompeo Magno.
Per il resto le fonti antiche non dedicano grande attenzione alla vicenda, salvo ricordare che dopo aver appreso del tradimento Cesare fece spedire a Labieno i suoi bagagli che si trovavano ancora in Gallia.
Gli storici moderni si sono interrogati sulle motovazioni del comportamento di Labieno.
Alcuni lo vedono come un puro e semplice traditore, altri come il campione del governo legittimo, che si battè per la repubblica.
Altri ancora ritengono, a mio parere più giustamente, che l’unica motivazione del "voltafaccia" fu più concretamente la fedeltà verso Pompeo.
Tito Labieno era infatti nato a Cingoli, città del Piceno, ossia nel cuore della regione legata a Pompeo Strabone, padre del futuro avversario di Cesare.
Si allora può presumere che la famiglia di Labieno fosse stata da sempre legata con Pompeo da solidi rapporti di clientela e che egli non sia pertanto mai stato fedele a Cesare, nemmeno durante le prime battaglie combattute insieme in Gallia.