Prosegue il Syme: "Le edizioni standard del Bellum Gallicum del Kübler, Meusel, Rice Holmes e Klotz accettano tutte una proposta di Ktaffert, e fanno leggere il brano come segue: 'T. Labienum Galliae praefecit togatae quo maior ei commendatio conciliaretur ad consulatus petitionem'. Con questa lettura, il riferimento al consolato di Labienus è determinato, su qualche uso ragionevole latino dei pronomi latini. È perciò paradossale e disgraziato che Rice Holmes dedusse che il pronome 'ei' era riferito a Cesare e al consolato di Cesare. Perciò, se si seguono i migliori testi moderni del Bellum Gallicum, difficilmente ci può essere qualche dubbio. Forse la lettura dei manoscritti potrebbe essere difesa dopo tutto, poiché Hirtius [probabilmente l'autore dell'VIII libro del De bello gallico] non era, infatti, uno scrittore molto elegante. In ogni caso, su entrambe le letture, la parola 'ipse' all'inizio del brano successivo, riferendosi alle attività proprie di Cesare, come se per contrasto, può forse essere inteso come una indicazione del senso dell'intero passo. Il testo è in discussione. Un breve cenno all'ambiente sociale della vita politica romana confermerà l'interpretazione qui adottata. Non c'è alcuna probabilità che gli umili natali piceni ispirarono qualche grande influenza o anche l'inizio di una clientela nella Cisalpina, che il suo governo di quella regione poteva conquistare favore per Cesare, un nobile e un consolare. Cesare già possedeva i loro voti; al principio dell'anno, quando scendendo nella Cisalpina per sollecitare l'elezione all'augurato del suo questore M. Antonius, egli raccomandò la propria candidatura per l'elezione consolare del 49 a.C. Governare la Cisalpina era un favore e un beneficio per Labienus, se il novus homo era candidato al consolato. E perché il generale non avrebbe dovuto sperare per il consolato? Labienus era meglio di Palicanus, non inferiore ad Afranius" (42).