Gli autori antichi non hanno dato gran risalto ai motivi che spinsero Labieno a passare dalla parte di Pompeo. Se Cicerone, come abbiamo visto, considera Labieno un héros (eroe, semidio) per l'alto esempio di senso civico che aveva dimostrato, Cassio Dione al contrario esprime un giudizio piuttosto severo. Lo storico greco, infatti, scrive che Labieno, dopo la guerra gallica, "ottenuta ricchezza e gloria, aveva cominciato a condurre una vita gonfio di potere, ma Cesare essendosi reso conto che si paragonava a lui, non lo aveva più guardato con lo stesso affetto. Non sopportando dunque questo cambiamento e temendo per sé stesso, passò dall'altra parte" (43).
Sulla defezione di Labieno, e più in generale sulla sua figura, le maggiori opere di storia romana e le monografie dei più importanti personaggi del I secolo hanno dato invece grande spazio.
Se i giudizi che riguardano la sua personalità e condotta politica sono piuttosto scarsi, viene da tutti riconosciuta la validità militare e tattica di Labieno; basti pensare al Mommsen che sottolinea come "di tutti i soldati e di tutti gli ufficiali di Cesare non vi fu che uno solo, il quale si rifiutò di ubbidire, e questi fu appunto il migliore di tutti" (44). Analoghi sono i giudizi di Drumann e Groebe (45), secondo i quali "fra i legati di Cesare nessuno era paragonabile a Labieno" e di Hignett che considera Labieno "il più grande dei luogotenenti di Cesare" (46); per Adcock "Labieno come tattico era della stessa classe di Cesare" (47).