Secondo La Sorsa il vero motivo della defezione si deve quindi ritrovare "studiando l'animo di Labieno, i suoi sentimenti politici, e le sue convinzioni schiettamente repubblicane. Egli apparteneva ad una famiglia, che quantunque la mancanza di documenti non ci permette di conoscere bene, doveva essere fra le più aristocratiche e fedeli alle istituzioni repubblicane" e così "quando vide che Cesare, trasgredendo alle sacre leggi dello Stato, andava contro la patria coll'intento d'abbattere i nemici e farsi padrone del governo; quando la libertà e l'indipendenza della repubblica vennero minacciate dal prepotente emulo di Pompeo, allora egli dové sentire l'animo pieno di degno, e per non rendersi complice di chi commetteva simile scelleratezza, abbandonò le armi e la fortuna per combattere con quelli che difendevano la libertà (...) In quel momento, quando si vide Cesare con un' agguerrita truppa che minacciava di distruggere il regime esistente, non solo Labieno seguì le sorti di Pompeo. ma anche tutti i personaggi più schiettamente repubblicani, come Catone, Scipione, Cicerone e gran parte del Senato".
La Sorsa conclude la sua difesa di Labieno sostenendo che egli "mostrò di essere vero repubblicano, non curando né ricchezze, né gloria, né onori; giacché non si contentò di combattere contro Cesare, come vedremo, solo quando splendeva ancora la stella del suo nuovo duce, ma anche dopo la morte di costui, anche quando un ultimo avanzo del partito conservatore faceva gli estremi sforzi in Ispagna. Se l'ambizione od altra cupidigia lo avessero indotto a seguir Pompeo, allorché costui fu sconfitto, ed ogni speranza di vittoria svanì, avrebbe desistito dal combattere contro Cesare come fecero Cicerone ed altri: invece egli volle sperare sempre, e non disdegnò di spargere il proprio sangue, di dare la propria vita per la libertà della sua Roma, per la difesa dei diritti dei cittadini dal minacciante dispotismo".